27/11/13

Dubita del dubbio /Blog Vescovo Macedo


Ho letto il post “Dubbi sul Fuoco Santo” e penso che necessiti maggiori spiegazioni al riguardo, in modo tale che le persone riescano a prendere il reale spirito del Fuoco Santo.

Molte persone non si sono resi conto che la parola “sacrificio” ha più di un significato, il senso più usato nel mondo per questa parola è di “sofferenza”.

La gente parla di “sacrificio” e le persone pensano subito nella sofferenza estrema, quasi come una penitenza. Ma la parola “sacrificio” nell'Universale è usata nel senso più dimenticato nel dizionario: rinuncia.

Nel dizionario Michaelis questo significato è espresso così: “Rinuncia volontaria a un bene o ad un diritto”. È questo il nostro sacrificio. Non è nel dare qualcosa, per poi restare nella sofferenza, essendo torturato, con la speranza che quella sofferenza possa raggiungere qualcosa, ma, la rinuncia volontaria a qualcosa che Dio ha chiesto, sapendo che con quella rinuncia trarrà il risultato che Lui ha promesso. La rinuncia, è qualcosa di pensato, è un’attitudine dello spirito, la sofferenza è già dell’anima, del cuore, e alle volte del corpo.

Io comprendo la confusione. La cultura cattolica glorifica la sofferenza. Tanto che il cattolicesimo da un fuoco molto grande al dolore fisico di Gesù sulla croce, come se questo, solo per se, fosse il sacrificio. Essendo che, il dolore più grande per lui fu quello di aver rinunciato volontariamente all'unione spirituale con il Padre (principalmente), alla sua pace di spirito e purezza (poiché si caricò dei nostri peccati) e al diritto di vivere, perché potessimo avere vita. Il Suo sacrificio fu spirituale, fu di rinuncia. Il sacrificio fisico, della morte, simbolizzava soltanto il sacrificio spirituale, che ci ha liberati dalla morte eterna.

La cultura cattolica pensa che chi soffre è santo. Ma il santo stesso è chi rinuncia. Chi apre la mano dalle sue volontà, chi rinuncia al diritto di replicare, di rispondere, o di rinuncia al disordine, o chi rinuncia al suo diritto animale di vivere d’accordo con i suoi istinti e impulsi, il che rinuncia al diritto di appartenere a se stesso, il che rinuncia all'indisciplina, rinuncia alla sua propria vita, che apre la mano da un bene al quale è legato, che rinuncia al diritto di avere la sua sicurezza nel denaro….. Chi si consegna, rinuncia.

Questo è il sacrificio che si fa nel mondo senza sapere. Lo studente che rinuncia al suo diritto di dormire per studiare; coloro che rinunciano alle serate in discoteca per avere un fidanzamento serio; chi rinuncia ai dolci per mantenersi in salute; il rinunciare ad una vita sedentaria per poter esercitare, chi rinuncia al diritto di spendere per se stesso per investire in qualcos'altro; la rinuncia alla pigrizia per leggere un libro….

E quando il pastore dice che il sacrificio ha un dolore è vero, ma questo dolore non è cattolico, non è fisico. Perché la rinuncia duole di più del dolore fisico o di quella semplice sofferenza. E’ il dolore dell’anima disciplinata dallo spirito. E’ il dolore che ci rende più forti, poiché ci fa dipendere da Dio. Capisco che è con questo criterio che Lui ci chiede il sacrificio. E lì ( guardando al sacrificio come rinuncia e non come sofferenza) cominciamo a capire quando il pastore dice che Dio ci chiede per darci di più. Lui chiede quello che stava infastidendo (e alle volte, la gente neanche ha notato questo) e, nel rinunciare, ci vediamo liberi per cose maggiori, poiché usciamo dalla zona di conforto che ci accomodava. Rompiamo i nostri limiti, facciamo ciò che non abbiamo mai fatto per nostro conto, e alle volte senza neanche capire perché Dio ci ha chiesto proprio quello, ma ci fidiamo perché Lui sa quello che fa, ed è con questa fiducia che facciamo il nostro sacrificio. Crediamo, per questo, facciamo la nostra consegna.

Questo è lo spirito del Fuoco Santo.

Ha collaborato: Vanessa Lampert

.

.